RINUNCIARE ALLA PROPRIETA’ IMMOBILIARE
Se e come sia possibile liberarsi di un immobile indesiderato e dei relativi pesi.
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– Se l’immobile è più un peso che un patrimonio –
Siamo sempre stati abituati a vedere la proprietà di un immobile come un patrimonio. Oggi, tuttavia, la situazione è talvolta opposta perché un immobile può trasformarsi in un peso. Vanno considerati tasse, spese di ripristino e bonifica, rischio di danni a terzi, eccetera; il tutto magari a fronte dell’impossibilità concreta di dare in locazione o vendere (perché in cattive condizioni, perché poco appetibile o per la stagnazione del mercato immobiliare).
Per questo motivo si è riacceso tra gli interpreti l’interesse per un tema a lungo rimasto in secondo piano: se sia possibile rinunciare alla proprietà immobiliare, con che effetti (in particolare liberandosi da quali obblighi) e come.
RAPIDO INQUADRAMENTO DEL PROBLEMA.
– Manca una norma espressa –
Rinunciare alla proprietà di un bene mobile è molto semplice: basta abbandonarlo in maniera inequivocabile (art. 923 c.c.). Invece abbandonare un bene immobile (salvo isolate opinioni contrarie) comporta la mera perdita del possesso, ma non della proprietà. Anzi, rischia di esporre il proprietario (rimasto tale) alle responsabilità che possono derivare dalla sua mancata diligente custodia.
Il problema è che l’attuale Codice Civile non disciplina espressamente la facoltà di rinunciare alla proprietà immobiliare e anzi nemmeno delinea un istituto generale della rinuncia ad un qualsiasi diritto. Quindi per risolvere la questione occorre interpretare estensivamente o per analogia altre norme riguardanti casi specifici o aventi carattere generale.
– Una questione di bilanciamento –
Questo è singolare visto che, al contrario, il problema era stato affrontato e risolto positivamente più volte in passato, anche se in modi vari, a seconda del bilanciamento scelto tra i contrapposti interessi e diritti. Così una disciplina si rinveniva ad esempio in diritto romano, nel lavoro dei giuristi Domat e Pothier, nel code civil francese, nel codice civile italiano del 1865, nel BGB tedesco.
Di fatto, per andare alla radice del problema, oggi si tratta essenzialmente di stabilire quanto la proprietà vada intesa come un diritto del titolare (comprensivo quindi della facoltà di rinunciarvi) e quanto invece vada concepita come un istituto giuridico avente anche “funzione sociale” (art. 42, c. 2 Cost.), come tale esercitabile solo in maniera sufficientemente “solidale” (per esempio, precludendo una rinuncia unilaterale che sposti i “pesi” della proprietà su altri o sulla collettività).
I “TIPI” DI RINUNCIA.
Occorre a questo punto una precisazione: non rileva unicamente se sia possibile rinunciare alla proprietà immobiliare, ma anche quale tipo di rinuncia, ove la si ammetta. Infatti, di “rinuncia” alla proprietà immobiliare potremmo parlare in due accezioni:
- quale rinuncia “abdicativa”, cioè il mero spogliarsi della proprietà;
- quale rinuncia “liberatoria”, cioè con altresì liberazione dalle obbligazioni (in particolare spese di varia natura) da essa derivanti.
LE NORME E LE SENTENZE ESISTENTI.
Premesso questo, veniamo ai riferimenti normativi e giurisprudenziali da cui possiamo trarre indicazioni per risolvere la questione.
– Cosa dicono le sentenze –
La giurisprudenza pare di scarso aiuto. Infatti specificatamente su questo tema si rinviene solo un risalente precedente (non di Cassazione) che aveva escluso la possibilità di rinunciare alla proprietà immobiliare argomentando che i modi di trasferimento della proprietà costituirebbero un numero chiuso previsto dal legislatore e non ampliabile per interpretazione analogica (Trib. Genova, 23 marzo 1991, riportata da S. Sica, Atti che devono farsi per iscritto, in Comm. Schlesinger, sub art. 1350, Milano, 2003, p. 239). D’altro canto esiste un filone giurisprudenziale che pare invece implicitamente ammettere tale rinuncia, anche se in modo alquanto indiretto e cioè trattando del diverso tema della c.d. accessione invertita. Queste sentenze paiono infatti descrivere la scelta da parte del proprietario di optare per la tutela risarcitoria quale una sua “rinuncia” alla proprietà (ad esempio, Cass. 28 maggio 2015, n. 11041). Ad ogni modo, o per isolatezza o per genericità, nessuno di questi precedenti è di per sè dirimente.
– Cosa dicono le norme su ipotesi affini –
Occorre quindi passare direttamente all’esame delle norme, ove troviamo più consistenti appigli in favore dell’ammissibilità della fattispecie.
L’art. 1118, c. 2 c.c. pare implicitamente ammettere una rinuncia quantomeno “abdicativa”. Infatti nel vietare al condomino di rinunciare alle “parti comuni” del condominio implica che (in assenza di deroghe) sarebbe ammesso rinunciare ad altre proprietà immobiliari. Inoltre, dal combinato disposto degli artt. 1350 c.c. e 2643 c.c. pare desumibile (per un collegamento logico-letterale di cui ci si può accorgere immediatamente leggendo le norme) che tra gli atti da farsi per iscritto e soggetti a trascrizione (di cui al n. 5) militino anche gli “gli atti di rinunzia” della “proprietà di beni immobili”. Quindi, anche questo riferimento (per quanto implicito) suffraga la tesi dell’ammissibilità.
Il Codice contiene poi varie ipotesi espresse di rinuncia c.d. liberatoria alla proprietà immobiliare nei rapporti tra vicini o condomini: gli artt. 882, 888, 1070 e 1104 c.c.. Quindi anche essa è sicuramente nota all’Ordinamento e al più è da chiedersi quanto sia predicabile al di fuori dei casi tipici espressamente delineati dal Legislatore.
LA SOLUZIONE CHE PARE PREFERIBILE.
– Caratteri della rinuncia –
Stanti le premesse di cui sopra, ed in attesa che i Giudici se ne occupino con maggiore specificità, la dottrina dominante pare oggi ammettere la facoltà di rinunciare alla proprietà immobiliare:
- con atto unilaterale (che quindi non richiede accettazione altrui);
- necessariamente per iscritto;
- con atto soggetto a trascrizione nei pubblici registri immobiliari.
– Effetti della rinuncia –
Quanto agli effetti, si compirebbe per certo quello meramente “abdicativo” (spogliarsi della proprietà). Ciò avverrebbe con “acquisto” della proprietà da parte:
- dello Stato se non vi erano comproprietari (art. 827 c.c., per cui lo Stato è proprietario degli immobili privi di titolare);
- dei comproprietari, se esistevano (ex art. 1104 c.c. la rinuncia di uno provoca il “riespandersi” del diritto degli altri).
Si argomenta, poi, che il comproprietario non potrebbe opporsi visto che qualora si ritenesse pregiudicato dai maggiori “pesi” derivanti dalla titolarità della proprietà rinunciata dall’altro potrebbe rinunciare a sua volta in favore degli altri o, all’esito della rinuncia di tutti, in favore dello Stato. La rinuncia meramente abdicativa non richiederebbe nemmeno formale notifica/comunicazione, essendo tra l’altro pubblicizzata con la trascrizione.
Nel trovare la giusta via di mezzo tra le due diverse possibili visioni dell’istituto della proprietà (quale mero diritto del titolare o quale almeno in parte strumento di solidarietà sociale) mi pare invece che non possano prodursi effetti “liberatori” per le obbligazioni già sorte prima della rinuncia al di fuori delle ipotesi tipiche previste dal legislatore, cui si è già accennato.
Quindi, se l’obbligazione era già sorta in precedenza (in particolare, ad esempio, sussistendo già allora i presupposti di un eventuale obbligo di bonifica) pare doverne continuare a rispondere il rinunciante. Peraltro, egli è comunque esposto ad eventuali responsabilità di natura penale (ad esempio, derivanti dall’inquinamento del terreno) ed in dottrina si ritiene anche di natura risarcitoria. Ciò o in base al “generale” art. 2043 c.c. o anche, eventualmente, considerando sanzionabili le “esternalità negative” per i vicini o la comunità alla stregua di immissioni vietate ex art. 844 c.c..
CONCLUSIONI.
Per concludere, rispettando le formalità suddette, pare oggi ben possibile rinunciare alla proprietà di un immobile foriero di preoccupazioni ed oneri di cui ci si vorrebbe liberare.
Tuttavia, se ciò sembra possibile per liberarsi dei “pesi” futuri (ad esempio, le tasse degli anni a venire), non pare invece possibile liberarsi anche di eventuali obblighi di bonifica/ripristino già sorti o di debiti pregressi derivanti da tale proprietà. Per ottenere questo effetto occorrerebbe infatti ricadere in una delle ipotesi previste espressamente dal legislatore o concludere un vero e proprio contratto con il soggetto che acquisterebbe la proprietà.
Ciò detto, non ci resta che rimanere in attesa di più specifiche indicazioni dalle Aule di giustizia.
Per approfondimenti suggerisco:
1) V. Brizzolari, La rinuncia alla proprietà immobiliare, in Riv. Dir. Civ., 2017, 1, 187.
2) A. Quarta, Cose derelitte, in Riv. Dir. Civ., 2014, 4, 10776.
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