NAVE “DICIOTTI”, UNA RIFLESSIONE.
Qualche (umile) considerazione sul potenziale conflitto tra Politica e amministrazione della Giustizia.
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Non sono un penalista e il fine dell’articolo non è quello di valutare la ricorrenza o meno delle ipotesi di reato, quindi non mi addentrerò nei risvolti tecnici degli illeciti ipotizzati dalla Magistratura nella vicenda “Diciotti”.
Mi interessa di più proporre qualche considerazione di fondo, provando umilmente ad argomentare in che modo dovrebbe secondo me svolgersi la riflessione giuridica sul tema.
I FATTI IN BREVE.
– Il quasi sbarco della nave “Diciotti” –
Prima di farsi un’opinione è buona norma aver chiari i fatti essenziali, quindi li riassumo anche per me stesso.
Il caso è noto. Tempo fa il Ministro Salvini negò la possibilità ai migranti rifiutati da Malta e recuperati dalla nave “Diciotti” – nave militare italiana – di sbarcare sulla terraferma, cosicché essi rimasero di fatto confinati sull’imbarcazione per giorni. Più di preciso, fu consentito lo sbarco solo dei minori e di alcune altre persone per motivi sanitari. Dalla stampa sembra emergere (lui stesso non ne fa mistero) che fosse stato il Ministro personalmente ad imporre tale situazione avvalendosi della gerarchia della “catena di comando”. Il tutto ebbe notevole risalto mediatico, trasformandosi anche in una questione di politica internazionale. Infatti il Ministro assicurava a quel tempo che non avrebbe mutato la linea di azione finché qualche altro Paese non avesse aperto i propri porti.
– L’indagine e la richiesta di archiviazione –
Per tali fatti si aprì un’indagine per gli ipotizzati reati di sequestro di persona e abuso d’ufficio. Il magistrato inquirente da ultimo investito ritenne doverosa l’archiviazione (pare) sulla base della creduta riconducibilità della condotta di bloccare la “Diciotti” alla categoria dell’ “atto politico”, come tale insindacabile nel merito da parte del Potere Giudiziario.
– La diversa valutazione dei Giudici –
Tuttavia ieri il Collegio di Giudici chiamato a valutare tale richiesta ha ritenuto vero l’esatto opposto: non vi sarebbe spazio per l’archiviazione, poiché si tratterebbe di atto non “politico” ma (meramente) “dettato da ragioni politiche”. Insomma, la scriminante dell’agire nel rispetto delle proprie funzioni non si potrebbe applicare laddove la condotta sia in realtà stata tenuta in diretta violazione degli accordi internazionali a quel tempo vigenti e senza che ricorressero concreti motivi di tutela dell’ordine pubblico o della sicurezza pubblica. Pertanto la notizia di questi giorni è che per la vicenda della nave “Diciotti” il Ministro rischia ancora, per davvero, il rinvio a giudizio per ipotesi di reato le cui potenziali conseguenze sanzionatorie sono gravi.
Per una disamina puntuale degli snodi argomentativi del provvedimento rimando all’approfondimento pubblicato su DirittoPenaleContemporaneo.
Comunque, resta ora da vadere come valuterà il fascicolo il Senato, che ha il potere di porre nel nulla l’inchiesta ove ritenesse che il Ministro abbia agito nella “tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante” o “per il perseguimento di un preminente interesse pubblico nell’esercizio di governo”.
Questi i fatti per come emergono dai rotocalchi, salve ovviamente tutte le valutazioni che spetteranno alle Autorità competenti e la presunzione di non colpevolezza di ogni soggetto coinvolto.
PERCHE’ E’ UN TEMA COMPLESSO.
Cosa rende spinosa la questione? Vari fattori, di cui a me vengono in mente in particolarte questi.
– Territorialità –
Si può partire dal fatto che la nave “Diciotti” è una nave militare italiana, quindi giuridicamente “suolo” italiano. Anzi (suona un po’ paradossale) gli stessi rappresentanti dello Stato italiano (i militari) hanno vissuto la situazione di sostanziale confino a bordo. Questo può avere delle conseguenze in tema di giurisdizione, leggi applicabili e individuazione dei potenziali responsabili e delle condotte doverose e/o vietate, così potendo porre problemi che magari per una normale nave privata non sarebbero emersi.
Insomma, è un caso in cui, anche volendo, sostenere che quanto accade lontano da noi dal punto di vista spaziale non ci riguarda sarebbe stato fin da quasi subito oggettivamente impossibile.
– Soccorso mancato o ritardato? –
Si può proseguire notando che (non è ancora chiaro quanto e in che modo) potrebbero esservi state esigenze di (in senso lato) primo soccorso delle persone presenti sulla nave “Diciotti” non immediatamente soddisfatte, benché ne esistesse la possibilità. Questo potrebbe comportare che una scelta magari in astratto passibile di ricadere nella discrezionalità politica finisca per diventare una scelta obbligata, scattando specifici obblighi inderogabili in virtù dell’urgenza e/o del bisogno contingente.
– Il preciso impegno politico –
Ancora, è impossibile negare che il Ministro abbia agito in perfetta aderenza rispetto alle proprie dichiarazioni e ai propri propositi politici, se non addirittura in esecuzione del programma elettorale. Insomma, al di là di ogni valutazione etica, giuridica e politica (che lascio a ciascun lettore), ha chiaramente operato come prevedibile alla luce delle premesse e forse realizzando proprio una specifica promessa per la quale i suoi elettori l’avevano votato. La conseguenza è che l’attrito tra Poteri dello Stato si fa più forte, perché la Magistratura potrebbe trovarsi costretta a decidere (più o meno indirettamente) se un determinato proposito politico (i famosi porti chiusi senza se e senza ma) auspicato dall’elettorato di riferimento del Ministro sia in sè contra legem e quindi insuscettibile di trovare attuazione nonostante l’esito delle elezioni.
– L’esistenza di norme in vigore –
In aggiunta, occorre notare che gran parte degli intenti del Ministro Salvini e della sua compagine politica in materia di immigrazione restano ad oggi meri indirizzi programmatici, perché sono ancora vigenti norme, soprattutto di fonte internazionale, che impongono procedure obbligate. Ciò significa che, pur potendo l’Esecutivo e ciascun Ministero attuare il proprio indirizzo politico, l’agire amministrativo resta comunque vincolato al rispetto delle norme magari scritte dal predecessore. Quindi può darsi che per non versare in una situazione di (in senso lato) illiceità nell’attuare un programma politico sia necessario prima riformare le norme esistenti e solo poi darvi esecuzione nel senso voluto.
Ancora, ulteriore problema è che le norme di fonte internazionale non si riformano unilateralmente, quindi in assenza di accordo con gli altri Paesi di fatto gli organi italiani depositari del Potere Esecutivo (ma anche quelli titolari del Potere Legislativo) possono trovarsi più o meno con le mani legate.
– I valori fondamentali in gioco –
Infine, benché sia questo l’aspetto più importante, trattare di simili temi significa più o meno direttamente maneggiare situazioni in cui sono in gioco delle vite di persone reali, con un nome, un volto e di norma una storia di notevole sofferenza alle spalle. Cioè, al di là dello specifico caso “Diciotti”, nel parlare del tema dell’immigrazione non si può prescindere dalla consapevolezza dei rischi che corre chi tenta le traversate e di quante tragiche morti in mare vi siano già state. Questa consapevolezza può operare in due sensi opposti: per alcuni sarà motivo di ancor maggiore chiusura, pensando che più si dissuadono le partenze dunque meno barconi inadeguati si metteranno in mare; per altri invece sarà argomento a favore di una più pervasiva opera di soccorso nelle acque anche lontane dalle nostre coste. Peraltro, ad estendere il ragionamento, vien da chiedersi pure in quali condizioni si trovino gli aspiranti migranti prima di riuscire ad imbarcarsi, magari mentre attendono (o sono trattenuti) sulle coste del Nord-Africa o addirittura nei Paesi di provenienza. Insomma, si tratta di una questione dal forte impatto emotivo.
Ciò comporta che chi a tutti i livelli -ed oggi in particolare la Magistratura- è chiamato a prendere decisioni direttamente o indirettamente incidenti sul tema deve confrontarsi con il naturale impulso (immagino non lieve) di andare ad incidere su tali dinamiche nel senso che ritiene più corretto su un piano extra- o pre-giuridico. Infatti, al di là di ogni valutazione circa la correttezza giuridica di tali scelte, il Magistrato che inquisisca e/o rinvii a giudizio il Ministro Salvini sa che ciò potrà determinare un effetto di formidabile contrasto della politica dei porti chiusi, mentre il Magistrato che indaghi sulle ONG e disponga sequestri delle loro navi sa che ciò può avere un intenso effetto dissuasivo del loro operare soccorsi in mare aperto.
DUNQUE CHE FARE?
– Il dibattito è giusto –
Credo che la complessità vada accettata come tale e trattata di conseguenza. Se anche una questione è difficile, foriera di contrasti dovuti a motivi tutt’altro che giuridici, a rischio di essere confusa da valutazioni che dovrebbero rimanerne assolutamente fuori (scontro tra morali, lotte di potere, eccetera) dubito che la soluzione possa essere quella di gridare solo allo scandalo, di prender subito posto sulle barricate, di esasperare il conflitto e di rifiutare addirittura l’ipotesi che possa astrattamente esistere un caso giudiziario.
Ritengo invece che a maggior complessità debba fare seguito un approfondimento più attento, senza quindi respingere a priori il confronto sul tema, ma anzi impegnandosi a portarlo avanti in modo critico. Quindi ben venga che i giuristi si interroghino sulla vicenda, ben venga che lo facciano i politici, ben venga che lo facciano pure la stampa e l’opinione pubblica.
Del resto se è scoppiato oltre al caso mediatico anche il caso giudiziario significa che un dubbio circa i limiti delle rispettive attribuzioni tra le Istituzioni esiste e quindi ha senso che per il maturare della Democrazia si provi a darvi una risposta. Anche perché coinvolto non è il cittadino qualunque schiacciato dalle pressioni (e dai costi) della macchina processuale, ma un Ministro e capo politico che agiva nella consapevolezza e, verosimilmente, nel tentativo di ingaggiare un corpo a corpo con altri Organi costituzionali.
– Cosa va evitato –
Ciò detto, umilmente, credo di poter individuare una strada sicuramente da non percorrere. Penso cioè che sia assolutamente da escludere la possibilità che in tale ragionamento -giuridico e critico- entri qualsivoglia valutazione circa l’impatto sullo scenario generale delle politiche dell’immigrazione.
Chi si confronta col caso “Diciotti” (quale che sia la sua inclinazione morale e politica) non deve cioè minimamente pensare a cosa comporta la negazione dell’ospitalità nei nostri porti alle navi che prestano soccorso ai migranti sulle esistenze di quelle migliaia di persone che, nel complesso, decidono di migrare. A maggior ragione non dovrà rientrare nella riflessione alcun altra vicenda relativa alle scelte politiche e normative di questo Governo (ad esempio la riforma delle norme in materia di asilo e protezione). Infatti così facendo si compirebbe l’errore di valutare non il fatto in sè, ma il suo contesto; non l’oggetto osservato, ma lo sfondo su cui lo si fotografa.
Si finirebbe cioè davvero per provare a fare del diritto vivente, quello applicato nelle Aule di Giustizia, uno strumento diretto di gestione (e relativo indirizzo) dei problemi sociali. Ma quello non è il ruolo delle norme (soprattutto penali) in uno stato di diritto; leggi che anzi hanno il compito di limitarsi a collocare dei paletti fondamentali (a tutela di tutti) entro i quali poi la società, l’economia e la politica si muoveranno secondo le proprie libere e democratiche dinamiche.
– Un po’ di fiducia –
Il diritto dovrebbe essere sinonimo di certezza, ma spesso sembra sinonimo di opinione. Come è noto, su molti temi esistono interpretazioni diverse e un Giudice potrebbe decidere in un modo una questione che un altro Giudice nello stesso momento, ma altrove, deciderebbe altrimenti. Questo può spaventare, ma non può di per sè generare il dubbio aprioristico che ogni intervento della Magistratura dia luogo ad uno sconfinamento sul piano politico.
D’altro canto, una qualche dose di incertezza entro certi limiti è inevitabile, soprattutto quando il diritto si confronta con situazioni nuove. Però interpretazione non significa arbitrio, ma tentativo di applicare a situazioni concrete di non immediato inquadramento delle norme che invece sono ben delineate nei propri elementi astratti. Tra l’altro l’interpretazione della questione nuova si avvale dell’opera di chi è venuto prima, traendo spunto e insegnamento dalle decisioni dei casi pregressi, esistendo sempre qualche precedente (se non proprio identico) almeno simile negli snodi essenziali.
Insomma, si dovrebbe avere almeno un minimo di fiducia nel fatto che il dibattito e la “decisione finale” muoveranno da una ponderazione attenta e portata avanti attivando ingranaggi non fabbricati e messi in moto ad hoc per questo o quel politico, ma in qualche modo già rodati in passato su situazioni similari.
– La parola finale –
Prendiamo poi il caso che, come si suol dire in scienza e coscienza, la Magistratura (se chiamata a pronunciarsi) ritenesse mai, alla luce del tenore delle norme e dell’interpretazione preferibile (non solo rispetto al caso del Ministro e della Nave “Diciotti”, ma per tutti i potenziali casi analoghi presenti, passati e futuri), doveroso dichiarare l’esistenza di uno o più fatti che astrattamente costituiscono reati. Ebbene, in tal caso, comunque, qualora l’interprete ritenesse che l’effetto dell’applicazione della norma così com’è (diciamo come “funziona” per gli altri casi) in quello specifico frangente comporterebbe un’inaccettabile invasione della sfera di competenza di un altro Potere dello Stato, ben potrebbe argomentare e dichiarare l’esistenza di una motivata eccezione.
Anzi, più probabilmente, potrebbe investire della questione la Corte Costituzionale, la quale potrebbe riconoscere che quella data norma, in astratto da applicare in un certo modo, nel determinato caso in esame, se applicata come di consueto, comporterebbe una violazione non preventivata di norme e valori costituzionali.
– Conclusioni –
Insomma, il clima già da campagna elettorale non aiuta, ma i Governi passano mentre le Istituzioni rimangono. Quindi il dovere di tutti è quello di impegnarsi a salvaguardare la tenuta del quadro democratico-istituzionale, senza pensare a questo o a quell’attuale titolare della poltrona. Cioè ogni valutazione andrà compiuta pensando a quali regole disciplinano quella data fattispecie in astratto, sia che si esamini un caso odierno, sia che si esamini un potenziale caso simile futuro.
Proprio per tutti i motivi suddetti penso che, ora come ora, la cosa più sensata da fare da parte di chiunque sia confidare nel fatto che -con l’attenzione di tutti garantita dalla Democrazia (anche tramite il difensore nell’eventuale procedimento penale)- le Autorità competenti potranno operare nel pieno rispetto dei diritti di tutti gli interessati e delle norme vigenti, senza invasioni di campo. Anzi, occorre impegnarsi affinché si trasformi in una virtuosa occasione di ponderazione sui pesi e contrappesi del sistema, senza paure nè preconcetti, anche a beneficio di chi verrà dopo.
La questione del c.d. caso Diciotti è particolarmente divisiva, perchè è molto difficile valutarla in modo asettico, cioè indipendentemente dalle proprie convinzioni relative alla gestione del complesso fenomeno delle migrazioni.
Senza dubbio, poi, considerati i risvolti politici del caso, non può essere sottovalutato il rischio di uno sconfinamento del potere giudiziario, che potrebbe intervenire sulla vicenda per frenare un modo di gestione del fenomeno in questione ritenuto non corretto.
Tale rischio, in effetti, certamente sussiste, anche perchè in diversi casi valutazioni morali o comunque extra giuridiche sono strettamente interconnesse con le problematiche giuridiche.
Come hai già detto tu, quindi, l’importante è che, qualora la Magistratura sia chiamata a pronunciarsi sulla vicenda, valuti il caso concreto, senza farsi influenzare da considerazioni di carattere più generale sull’amministrazione degli sbarchi (la cui gestione chiaramente spetta al Governo).
Chiarito ciò, va però anche osservato che qui ad essere in gioco sono anche diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione e da numerose Carte Internazionali, come il diritto alla vita, il diritto alla salute e quello alla libertà personale.
E la tutela in concreto di tali diritti, senza dubbio, spetta alla Magistratura.
Pertanto, nel caso in cui il Senato conceda l’autorizzazione richiesta, i giudici dovranno valutare non la bontà di una determinata politica del Governo in carica, ma se le modalità di perseguimento della stessa abbiano violato o meno alcuni diritti fondamentali dell’individuo (oltre alle regole internazionali sulla gestione di tale fenomeno), integrando eventualmente fattispecie di reato.
Se la Magistratura sarà in grado di fare ciò, a prescindere da pressioni, condizionamenti e valutazioni più politiche che giuridiche, chiaramente è da vedere.
Io credo comunque che, essendo quello delle migrazioni un fenomeno epocale, difficilmente destinato ad esaurirsi in tempi brevi,ed anzi forse in possibile aumento a causa dei cambiamenti climatici, sia indispensabile porre delle regole chiare per la sua gestione.
Questo compito spetta senz’altro alla politica, soprattutto in ambito europeo, ma la Magistratura non può esimersi dal controllare che le legittime scelte discrezionali del potere esecutivo siano rispettose delle leggi e dei Trattati Internazionali.
Per questo io ritengo che sarebbe opportuno permettere la celebrazione di un processo, pur con tutti i rischi concreti di strumentalizzazione dello stesso in un senso o nell’altro.
Il problema di fondo, comunque, sta nel fatto che l’unica possibile gestione di questo fenomeno è a livello dell’Unione Europea, non dei singoli stati menbri, che non hanno le risorse e le forze per governarlo a dovere.
Tuttavia, gli egoismi e le diversità di vedute dei vari ordinamenti nazionali rendono la gestione comune dell’immigrazione un obiettivo piuttosto ambizioso.
Ciò non toglie che tale obiettivo vada in ogni caso perseguito, in quanto è l’unico modo per trovare delle soluzioni efficaci e durature al problema in questione, che rappresenta una delle preoccupazioni principali dell’opinione pubblica di vari Stati Membri.
Tornando al c.d. caso Diciotti, si vedrà nei prossimi giorni quale sarà la decisione del Senato e quindi il possibile sviluppo della vicenda.
E’ più che possibile che una eventuale concessione dell’autorizzazione sarà dettata più da ragioni di visibilità mediatica e di consolidamento del consenso politico dei propugnatori di questa modalità di gestione del fenomeno, che non di volontà di verificare il rigoroso rispetto della legge.
Nonostante ciò, il dibattito e il dibattimento potrebbero risultare di grande utilità per una corretta comprensione e quindi gestione del fenomeno delle migrazioni.
Grazie per l’intervento, ben ragionato che tocca vari punti importanti e che condivido. Mi trova d’accordo soprattutto la distinzione tra questioni che spetta alla politica risolvere e limiti che spetta alla Magistratura tener fermi, con la corretta puntualizzazione che la prima (politica) va intesa a livello di Unione Europea per essere efficace.