JIMMY “SCIVOLONE”: CASI DI RISARCIMENTO
Per cadere “informati”, cioè sapendo quando si ha diritto al risarcimento.
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– L’idea dalla nota serie tv –
Chi, come me, è fan della fortunata serie Better Call Saul saprà chi è Jimmy “Scivolone”. Altrimenti, basti sapere che è il nome che il truffaldino protagonista della serie si era guadagnato in gioventù facendo il finto “cascatore” al fine di domandare un risarcimento.
Da qui l’idea per questo articolo. Cioè chissà a quanti è capitato di chiedersi quando cadendo, scivolando, inciampandosi, sbattendo e così via si ha diritto (oltre ad inveire) ad un risarcimento e quando no.
Ebbene, va premesso che fare il Jimmy “Scivolone” di turno integra il reato di truffa e non dovrebbe dar luogo ad alcun risarcimento. Ma ciò precisato, vediamo quindi -a grandi linee- quando è invece lecito domandarlo e con che probabilità di riuscita.
Se non altro, così, nei fatali uno o due secondi che ci separeranno dal suolo potremo pensare: “so che futuro mi spetta”.
PREMESSA: DEVE SUSSISTERE UN DANNO.
– Le dinamiche particolari –
Innanzitutto, va ricordato che certe “dinamiche” escludono il risarcimento o lo “diminuiscono” (trasformandolo in mera “indennità”). Sono i casi dell’agire per “legittima difesa” (art. 2044 c.c.), in “stato di necessità” (art. 2045 c.c.) o quale persona “incapace di intendere e di volere” (artt. 2046-2047 c.c.). Tuttavia qui non ci interessano, perché quello che vogliamo approfondire è il puro e semplice infortunio o sinistro nelle situazioni più classiche.
– Risarcito solo il danno effettivo e dimostrato –
Invece è importante ricordare una regola abbastanza intuitiva ma spesso non considerata nel minacciar cause. Cioè si può risarcire solo un danno effettivamente sussistente (o quanto meno ritenuto tale dal Giudice) e che va provato. Vero è che tale prova può eventualmente provenire anhce da un insieme di “indizi” tramite “presunzioni”, ma la regola in sé vale comunque. Quindi, per quanto la condotta altrui possa esser stata spregevole (ad esempio, un odioso sgambetto), se al “soggetto passivo” non deriva alcun tipo di danno (alle cose o alla persona o ad entrambe) non si avrà diritto ad alcun risarcimento.
– Danno “morale”, “biologico”, “parentale”, “estetico”, eccetera –
Poi, con una certa leggerezza, molti tendono a dire che c’è quanto meno da risarcire il “danno morale”. Con questo intendendono qualche non meglio precisato turbamento. Ecco, sappiate che ciò è raramente vero.
Oggi si parla più propriamente (ed in modo unitario) di c.d. danno non patrimoniale per riferirsi, in sintesi, a tutto quello che non si traduce in un’immediata perdita economica. Tale danno viene risarcito “agevolmente” solo se c’è un certificato medico (o, meglio, una vera e propria perizia). Invece tutto “il resto” (patemi interiori, sofferenze emotive di vario genere e chi più ne ha più ne metta) trova ristoro nelle aule dei Tribunali con ben più difficoltà.
Del resto, le stesse Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione hanno tenuto a precisare che tale risarcimento è concesso solo in caso di lesione di valori/diritti di rilievo elevato (“ingiustizia costituzionalmente qualificata”) e solo se ricorrono la “gravità” della lesione e la “serietà” della pretesa (Cass. Civ., SS.UU., 11/11/2008, n° 26972).
SE MI HANNO FATTO CADERE: ALLORA LA VIA DEL RISARCIMENTO E’ IN DISCESA.
Vere le suddette premesse, se cado, mi inciampo, sbatto o scivolo a causa della condotta di qualcun altro che mi ha provocato un infortunio o un danno alle cose (ad esempio, facendomi rompere gli occhiali) che da solo non mi sarei procurato ciò genera di consueto il mio diritto al risarcimento.
– Quando il risarcimento è per contratto –
Per esempio, a volte questo avviene perché c’è un contratto in base alle cui condizioni (che magari non ho mai letto, ma in realtà comunque esistono e sono vincolanti) non sarebbe dovuto accadere che mi facessi male. Così è quando viaggio stando in piedi in autobus (sì, è un contratto anche se non si firma nulla) e cado per la frenata del conducente (art. 1681 c.c.).
In questi casi diventa tutto più facile perché basta dimostrare il danno (come descritto sopra) e che a causarlo è stato proprio il danneggiante (che, per esempio, ha accelerato troppo e poi frenato all’improvviso). Non occorre cioè anche dimostrare che c’è stato suo “dolo” o “colpa” (così è di consueto per la c.d. responsabilità contrattuale). Peraltro, nell’esempio del trasporto di persone, il trasportatore si libera dalla responsabilità solo con la difficile prova di “avere adottato tutte le misure idonee a evitare il danno”. Questa prova è spesso quasi diabolica, quindi il danneggiato nella causa parte in posizione di notevole vantaggio.
– Altre ipotesi di risarcimento dalla prova agevolata –
Vi sono poi altri due casi, previsti da altrettante specifiche norme, in cui il danneggiante si libera solo con tale ardua prova dell’ “aver adottato tutte le misure idonee a evitare il danno”.
Si tratta, in primo luogo, del frequente caso in cui a venirmi addosso è stato un “veicolo” (art. 2054 c.c.). La conseguente responsabilità è quasi inevitabile per l’autista. Infatti la Cassazione ha anche di recente ribadito che la responsabilità permane anche se il pedone si è comportato in modo imprudente (v. Cass. civ. Sez. III, 04/04/2017, n. 8663).
In secondo luogo, si tratta del caso in cui il danno mi sia stato causato da qualcuno dedito all’esercizio di una “attività pericolosa” (art. 2050 c.c.). Sarebbe tale l’attività avente in sé e già ex ante una notevole potenzialità di danno per i terzi. Tipico esempio è l’attività di un cantiere, ma spesso ci si fanno rientrare anche attività sportive (benché in questo caso la riconducibilità alla categoria sia molto più controversa).
Oltre a queste ipotesi di risarcimento relativamente “facile” da ottenere ve n’è un’ulteriore. Si tratta, cioè, del caso in cui a farmi cadere sia stato il cane (o altro animale) sfuggito o comunque non ben tenuto sotto controllo dal padrone Tizio o da chi per lui lo teneva (art. 2052 c.c.). In tal caso il danneggiante non ha quasi mai scampo, poiché si salva dall’obbligo di risarcire il danno solo provando il (difficilissimo da dimostrare) “caso fortuito” (tipico esempio del quale, per intendersi, sarebbe secondo i manuali il caso del fulmine che spezza la catena a cui è legato il cane).
– L’ipotesi più generale –
Altre volte ancora poi, e cioè essenzialmente in tutti i casi restanti, il risarcimento sarà dovuto in base al principio del neminem laedere (che potremmo tradurre in “non recar danno ad alcuno”) consacrato nel “generale” art. 2043 c.c.. In questi casi le cose possono complicarsi un pochino perché bisogna anche provare la “colpa” (essere stato imprudente, imperito o negligente) o il “dolo” del danneggiante. E’ vero che ciò non significa fare “il processo alle intenzioni”, visto che tale elemento soggettivo può desumersi più o meno indirettamente da circostanze obiettive, ma comunque si tratta di un aumento della difficoltà della causa.
SE SONO CADUTO DA SOLO: LA STRADA DEL RISARCIMENTO SI FA PIU’ IN SALITA.
Altrimenti, può essere che io sia di fatto caduto o inciampato o abbia sbattuto “da solo”: mi sono procurato il danno senza che nessuno mi toccasse. In questi casi la via del risarcimento si può fare più ripida e per l’avvocato che si lascia appassionare dalle proprie pratiche le cose si fanno più interessanti.
– Il rapporto di custodia –
Infatti, in questi casi il legale del danneggiato proverà in tutti i modi a convincere il Giudice che il caso concreto rientri in un primo grande insieme di ipotesi, cioè di quel novero che comprende tutte le volte in cui io mi sia fatto male “a causa” di una “cosa” che qualcun altro “custodisce” (art. 2051 c.c.).
Il motivo di un simile argomentare è molto semplice: si tratta di un’altra di quelle ipotesi in cui il danneggiante si libera da responsabilità solo per “caso fortuito” (di cui si è già detto), mentre non serve provare il suo “dolo” o la sua “colpa” al danneggiato. Perciò, se si rientra in tale ipotesi di “custodia”, ottenere il risarcimento è molto più semplice.
Detta così può sembrare un concetto astruso, perciò vediamo di chiarirlo per sommi capi.
La “cosa” può essere qualsiasi elemento inanimato, a prescindere dal fatto che sia o no intrinsecamente pericoloso (quindi, ad esempio, anche un oggetto normalmente del tutto innocuo). La “custodia” è poi intesa in senso ampio, come “effettivo potere fisico” sulla cosa, tale da impedirle (se ben governata) di fare danni. Cioè, per capirci, c’è qualcuno che “deve occuparsene” anche per evitare che causi problemi ad altri. Infine con “causa” si intende che la cosa deve aver rappresentato una condizione necessaria e sufficiente perché l’evento si verificasse.
Il problema è, però, che i Giudici sono spesso cauti nel far rientrare le concrete vicende di danno quotidiane in tale ipotesi normativa, proprio perché essa rende molto difficile per il danneggiante discolparsi. Inoltre, se l’avvocato non ha menzionato fin da subito tale norma nel proprio atto, può essere molto difficile (anzi, di solito è proprio impossibile) far riconoscere tale responsabilità più avanti in corso di causa. Questo è vero in virtù delle regole del processo che precludono certi mutamenti dell’impostazione difensiva in corso d’opera. Insomma, occorrono un minimo di accorgimenti da parte del professionista.
Per fare un esempio concreto e sempre di estremo interesse, il dibattito più acceso e tuttora costante si è avuto e si ha ancora in tema di danno causato dalle cattive condizioni della strada. Si pensi all’ipotesi di una bella buca profonda, di un cartello sporgente, eccetera. Una volta si tendeva ad escludere che la Pubblica Amministrazione ne potesse essere ritenuta “custode”, stante l’asserita impossibilità di tener sotto controllo effettivo l’intera “rete”. Oggi invece (fortunatamente per i danneggiati) sembra propendersi per un’applicazione più ampia dell’art. 2051 c.c., forse addirittura nella maggior parte dei casi. La materia resta tuttavia controversa.
Se poi non viene applicata la “responsabilità da cose in custodia” allora resta applicabile solo l’ordinario neminem laedere (l’art. 2043 c.c. di cui si è detto sopra), con le già menzionate maggiori difficoltà probatorie (dover provare la “colpa” o il “dolo” del danneggiante).
SE UN PO’ LA COLPA E’ ANCHE MIA…
Vero tutto questo, cosa può fare l’avvocato del danneggiante?
Solitamente egli si prodigherà nel tentare di argomentare e dimostrare l’esistenza (almeno in parte) di una colpa del danneggiato stesso nel procurarsi il danno. Tale c.d. concorso di colpa infatti può diminuire o addirittura escludere il diritto al risarcimento (artt. 1227 c.c. e 40-41 c.p.).
Per esempio, se correvo con le ciabatte di gomma bagnate sul bordo della piscina, in spregio a tutti i cartelli che vietavano di farlo (e magari anche agli urli del bagnino), nonostante esso fosse ben visibile e segnalato, dunque verosimilmente non mi vedrò risarcire granché o addirittura alcunché. Idem se sfrecciavo in bicicletta a gran velocità su una strada ben segnalata come pericolosa e sdrucciolevole e peraltro, magari, a me ben nota come tale perché abito nei dintorni. Ancora, magari attraversavo la strada con la musica nelle orecchie o col cappuccio alzato che mi ostruiva la visuale: posso star sicuro che l’avvocato del danneggiante rimarcherà parecchio sul punto.
CONCLUSIONI.
Quindi, in estrema sintesi, si risarcisce solo un danno effettivo e dimostrato.
In certe ipotesi di legge ottenere il risarcimento è relativamente facile perché basta provare che Tizio o un qualcosa a lui riferibile mi ha causato il danno e Tizio si libera da responsabilità solo con prove ben ardue.
Negli altri casi, invece, la via del risarcimento è un po’ più impervia perché bisogna provare anche un “dolo” o una “colpa” di Tizio.
In tutti i casi, poi, il risarcimento potrebbe finire per essere escluso o limitato nell’importo da un’imprudenza o una disattenzione del danneggiato stesso.
Ciò detto, rinviando a successivi maggiori approfondimenti delle varie tematiche toccate, auguro vivamente al lettore di non dover mai fare uso di queste informazioni!
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