Incarichi ai Medici in Formazione Specialistica (c.d. specializzandi) per l’emergenza Covid19
Qualche considerazione a caldo sull’introduzione della possibilità di avviare collaborazioni lavorative con i Medici in Formazione Specialistica (c.d. specializzandi) per far fronte all’emergenza.
Per far fronte all’emergenza Coronavirus è stata recentemente introdotta la possibilità per le A.U.S.L e per gli Enti del SSN di arruolare mediante contratto di lavoro autonomo o parasubordinato anche i Medici in Formazione Specialistica iscritti agli ultimi due anni del proprio percorso di studi.
Con le stesse tipologie contrattuali, sempre visto lo stato di emergenza, si potrà procedere al potenziamento del personale conferendo incarichi anche ai soli “laureati in medicina e chirurgia, abilitati all’esercizio della professione medica e iscritti agli ordini professionali”.
Ancora, (ma quest’ultima non è una assoluta novità, in quanto così era già previsto dall’art. 1, c. 548-bis, l. 145/18) sempre a partire dal penultimo anno di formazione (così pare aver chiarito il c.d. Decreto Rilancio), i Medici in Formazione Specialistica potranno essere assunti con contratto di lavoro subordinato a tempo determinato.
Da ultimo, per gli iscritti al corso di Formazione in Medicina Generale e Pediatria si prevede la possibilità di incarichi “convenzionali”, “provvisori” o di “sostituzione”.
N.B.: Occorre subito premettere che il susseguirsi di plurimi interventi normativi in un breve lasso temporale e la presenza di alcune disposizioni all’apparenza contraddittorie o poco chiare (talvolta per l’appunto modificate dopo poco da successiva decretazione) lascia margini di incertezza su alcuni aspetti.
Ad ogni modo, se l’assunzione a tempo determinato (cioè a termine) come veri e propri lavoratori dipendenti non presenta grandi peculiarità, e tralasciando in questa sede le specificità degli incarichi di Medicina Generale e Pediatria, può invece essere interessante interrogarsi sulla natura e sulla disciplina dei rapporti avente carattere autonomo o parasubordinato instaurati con i Medici in formazione specialistica, soprattutto con riferimento a certi possibili problemi di taglio pratico.
NATURA DEI RAPPORTI
In tema di tipologia contrattuale la norma è abbastanza lapidaria. L’articolo specifica soltanto che tale reclutamento può essere effettuato “conferendo incarichi di lavoro autonomo, anche di collaborazione coordinata e continuativa“, poi precisa che ciò può avvenire “in deroga” alle norme che disciplinano in via ordinaria il reclutamento da parte della P.A..
Chiariamo il punto.
Perché la natura autonoma o di co.co.co del rapporto genera dubbi.
1. Nel lavoro subordinato si ha un lavoratore dipendente sottoposto al potere (gerarchico) di un datore di lavoro. Quest’ultimo può in particolare etero-dirigere la prestazione di lavoro del dipendente, cioè impartirgli unilateralmente e dall’alto durante lo svolgimento del rapporto delle direttive vincolanti (e spesso anche molto dettagliate, ad es.: circa l’orario di lavoro, gli strumenti da utilizzare, la postazione in cui stare, eccetera) riguardo a come svolgere in concreto tale prestazione (c.d. potere direttivo); può inoltre controllare ed esigere il rispetto delle suddette direttive (c.d. potere di controllo), irrogando sanzioni di natura disciplinare in caso di inosservanza o di altre forme di inadempimento (c.d. potere disciplinare).Nel lavoro subordinato il lavoratore è quindi più vincolato e può vedersi imporre in corso di rapporto mutamenti dei propri concreti doveri (cioè differenti direttive sul come, dove e quando svolgere la prestazione); ma, se non altro, non patisce direttamente (fatta eccezione per l’ipotesi di azionariato dei dipendenti) il rischio di impresa (cioè se anche gli affari dell’azienda vanno male, finché non interviene una vera e propria crisi dell’attività d’impresa, egli conserva comunque il proprio stipendio) e gli sono riconosciute le più intense tutele approntate dall’Ordinamento, in particolare rispetto al licenziamento ed alla determinazione del trattamento minimo economico-normativo (su cui incidono fortemente i contratti collettivi), ma anche dal punto di vista sindacale, del welfare e così via.
2. Nel lavoro autonomo, invece, il lavoratore è un “prestatore d’opera” (non un dipendente) e compie un’opera (ad es.: l’artigiano) o un servizio (ad es.: un consulente) in favore di un “committente” (non un datore di lavoro), in cambio di un corrispettivo liberamente pattuito tra le parti. In altri termini, non vi è un rapporto giuridico di tipo gerarchico per il quale un contraente assuma una posizione superiore ed asimmetrica rispetto all’altro (benché tale asimmetria esista spesso nei fatti, soprattutto dal punto di vista della dipendenza economica e della forza contrattuale). I due contraenti si trovano giuridicamente su un piano paritario e concordano in piena parità ed in anticipo l’oggetto del negozio. Quindi, benché esistano dei correttivi previsti dall’Ordinamento volti ad evitare abusi, i due contraenti sono abbastanza liberi di determinare i contenuti del rapporto (misura del corrispettivo, tempi di compimento dell’opera, modalità di pagamento ed esecuzione, eccetera) e di incidere poi sulle sorti del rapporto stesso, visto che la regola generale sarebbe quella della possibilità di recesso c.d. ad nutum (cioè senza bisogno di particolari spiegazioni, ma solo indennizzando secondo determinati principi il disagio causato all’altra parte). In particolare, il lavoratore autonomo è tenuto ad eseguire la prestazione per come dedotta (fin dall’origine) nel contratto, ma è pienamente libero, con (di norma) ampia autonomia, di decidere come raggiungere tale risultato (ad es.: in che momento della giornata lavorare, che strumenti utilizzare, eccetera). Egli non è soggetto ai tre poteri tipici di un datore di lavoro (direttivo, di controllo e disciplinare), ma solo al potere (proprio della parte di qualsiasi contratto) di verificare se l’altro contraente stia adempiendo correttamente ed eventualmente attivare i rimedi previsti dalla legge in caso di inadempimento.Il lavoratore autonomo è quindi estremamente più libero di un dipendente, ma ricade per lo più su di lui il rischio dell‘attività economica (ad es.: essersi obbligato a realizzare solo per un contenuto corrispettivo un’opera che richiede poi molto più lavoro del previsto) e gode di tutele molto inferiori rispetto al lavoratore subordinato (benché esistano dei temperamenti, anche ad esempio in virtù delle misure di welfare messe in campo dalle Casse Previdenziali dei singoli Ordini professionali).
3. Infine, il lavoro parasubordinato appare come una sorta di via di mezzo tra le due precedenti tipologie. Nasce nei fatti a seguito del riconoscimento da parte del Legislatore, al fine di non lasciarla troppo priva di tutele, di una prassi ormai diffusasi nella realtà lavorativa: quella di avvalersi di “collaboratori” saltuari o discontinui o non pienamente inseriti nell’organizzazione aziendale (o più banalmente che il datore di lavoro non intendeva assumere con più oneroso contratto di lavoro subordinato). Benché l’opinione prevalente sia sempre stata quella di riconoscere il lavoro parasubordinato come una declinazione del rapporto di lavoro autonomo (quindi con tendenziale applicazione, in prima battuta, della relativa disciplina), via via l’Ordinamento ha normativamente riconosciuto la tipologia in questione, individuandola in sé e per sé, ed ha approntato crescenti tutele e norme ad hoc.La maggiore preoccupazione del Legislatore è sempre stata quella di sanzionare l’artificioso utilizzo di contratti parasubordinati per mascherare un rapporto di lavoro subordinato di fatto: il principale rimedio è stato quello di imporre al datore di lavoro la conversione in rapporto di lavoro subordinato vero e proprio (con tutti i relativi oneri per lui e maggiori tutele per il lavoratore) ove non fossero rispettati i paletti previsti per tale tipologia contrattuale (tra i quali, in particolare, per molto tempo vi è stato l’obbligo di prevedere uno specifico “progetto” rispondente a determinati requisiti). Attualmente la normativa imporrebbe in via generale il superamento della tipologia del lavoro parasubordinato, salve alcune eccezioni.
Ancora, concludendo, va precisato che nel nostro Ordinamento vige il principio c.d. dell’indisponibilità del tipo contrattuale. Ciò significa che la disciplina applicabile al rapporto (cioè decidere se si applicano le tutele di una o dell’altra delle tipologie sopra descritte) dipende sempre dall’effettivo estrinsecarsi e svolgersi materiale dello stesso, mai dal mero dato formale costituito dalla circostanza che la previa pattuizione faccia espresso riferimento ad un tipo piuttosto che ad un altro. In altri termini, se si viene formalmente “incaricati” come lavoratori autonomi a partita IVA ma si attua in concreto un rapporto avente tutte le caratteristiche del lavoro subordinato, allora il Giudice potrà riconoscere l’esistenza di quest’ultimo (con tutte le conseguenze del caso: differenze retributive e contributive, TFR, diverse tutele contro l’eventuale licenziamento, eccetera). Va però precisato che tale principio opera diversamente se il datore di lavoro di fatto è la Pubblica Amministrazione: visto che accertare in giudizio l’esistenza del rapporto di lavoro subordinato significherebbe aggirare l’obbligo costituzionale di far accedere i pubblici dipendenti solo tramite concorso (art. 97, c. 4 Cost.), in tal caso il Giudice si limiterà ad accordare le tutele economiche per il periodo trascorso, senza determinare anche la prosecuzione futura del rapporto.
Questo processo è passato dal c.d. Jobs Act (vari decreti adottati tra 2014 e 2015 dal Governo Renzi, v. in particolare il d.l. 81/15) e soprattutto, per quel che riguarda l’oggetto di questo approfondimento, dalla c.d. Riforma Madia (l. 124/15). In particolare, è importante l’odierno disposto dell’art. 7, cc. 5-bis e ss. del d.lgs. 165/013.Con tale disciplina la regola è diventata quella per cui, di norma, vige il divieto per le P.A. di avviare collaborazioni lavorative “che si concret[i]no in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione siano organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro”.In altre parole, tali “posti” andrebbero coperti con una vera assunzione con contratto di lavoro subordinato. Normalmente (cioè al di fuori della normativa introdotta con l’emergenza sanitaria Covid19) si può fare eccezione unicamente laddove si presentino “specifiche esigenze cui” le P.A. “non possono far fronte con personale in servizio“: in tal caso esse “possono conferire esclusivamente incarichi individuali, con contratti di lavoro autonomo, ad esperti di particolare e comprovata specializzazione anche universitaria”, ma purché “in presenza“ di alcuni “presupposti di legittimità” espressamente elencati (e sempre volti ad evitare che si tenti di assumere a partita IVA il lavoratore che ben potrebbe essere assunto con contratto di lavoro subordinato).
Come si riconosce il lavoro in concreto subordinato?
In primo luogo, è determinante vedere se sussista o no la c.d. eterodirezione: ossia, l’impartizione di direttive vincolanti circa il come svolgere la prestazione (a differenza del lavoro autonomo, dove il committente si limita a fissare l’obiettivo da raggiungere). Corollario logico di tale potere (direttivo) in capo al datore di lavoro è poi quello di vigilare sul rispetto delle direttive (potere di controllo) e, conseguentemente, riprendere e sanzionare il lavoratore che se ne discosta (potere disciplinare).Però in certe tipologie di lavoro è molto difficile provare in giudizio l’esistenza di tali direttive, perciò la Cassazione ha da tempo individuato vari altri “indici” della subordinazione (nessuno dei quali di per sé determinante, ma che acquistano valore globalmente considerati quali indizi probatori) così riassumibili: la continuità della prestazione, l’inserimento del lavoratore nell’organizzazione aziendale, l’inesistenza del rischio e dell’organizzazione d’impresa in capo al singolo lavoratore, la corresponsione di una retribuzione prestabilita a cadenze fisse, l’osservanza di un orario determinato, il carattere particolarmente non qualificato delle mansioni (meramente manuali, esecutive, ripetitive e perfettamente fungibili, tali da rendere estremamente improbabile il reale bisogno di ricorrere ad un prestatore d’opera non dipendente), l’utilizzo di strumenti e la prestazione presso un luogo messi a disposizione dal datore di lavoro. Insomma, sono tutti fattori che indicano l’esistenza di un rapporto gerarchico (asimmetrico) che caratterizza solo il lavoro subordinato e non anche il lavoro autonomo (nel quale il contratto viene stipulato ma anche eseguito in posizione paritaria tra le parti).
Pertanto, le Aziende U.S.L. dovranno prestare particolare attenzione a non eccedere, in via di fatto, nell’assimilazione di questo nuovo personale (arruolato eccezionalmente con contratti di lavoro autonomo o parasubordinato a causa dell’emergenza sanitaria) rispetto al proprio “normale” personale dipendente. Infatti, altrimenti correrebbero il rischio di veder lamentare in futuro da parte dei lavoratori in questione pretese economiche derivanti dall’operatività del principio suddetto di c.d. indisponibilità del tipo contrattuale.
ALCUNI SPUNTI CIRCA LA DISCIPLINA
Lo scenario fin qui descritto pone subito alcuni dubbi di carattere, potremmo dire, pratico circa come intendere la disciplina di tali rapporti. Proviamo a rispondere ad alcune di queste.
Alcune questioni pratiche
Come abbiamo visto, l’instaurazione di un rapporto di lavoro autonomo o parasubordinato implica una maggiore libertà in capo all’interessato rispetto all’assunzione di un dipendente. Anzi, tra i parametri che vengono generalmente utilizzati dai Giudici per accertare l’esistenza in concreto di un rapporto di lavoro subordinato di fatto, mascherato da un artificioso contratto di altro tipo, vi sono anche proprio l’obbligo di rispettare un preciso orario lavorativo, di mantenersi presso una determinata postazione, di seguire precise direttive circa come svolgere dal punto pratico la prestazione e così via.
Ciò significa che, in linea di principio, il Medico in Formazione Specialistica che abbia accettato l’incarico sarà sì tenuto a rispettare le previsioni circa l’ “opera” e/o il “servizio” previsti dal relativo contratto (che, tra l’altro, dovrebbe delineare come proprio oggetto più un risultato che una mera assidua ripetizione di mansioni nel corso dell’arco di tempo considerato), ma senza il vincolo della c.d. eterodirezione.
Per fare un esempio: se il contratto avesse dedotto come obbligazione semplicemente quella di aiutare a presidiare un determinato reparto, magari in un preciso momento della giornata in cui è risaputo che vi sono maggiori accessi di pazienti, onde potenziarne l’efficienza, allora il Medico in Formazione Specialistica in teoria potrebbe abbastanza liberamente determinare con che modalità, in scienza e coscienza, ritenga più opportuno conseguire tale risultato. Ad esempio, potrebbe gestirsi le pause, scegliere se occuparsi prima di una mansione o dell’altra, decidere come coordinarsi coi Colleghi, eccetera. Questo è vero in linea di principio, ma bisogna anche considerare che intensi temperamenti a tale principio astratto derivano da altre considerazioni.
Innanzitutto, l’Azienda U.S.L. può legittimamente pretendere, anche nell’ambito delle tipologie contrattuali suddette, che la prestazione del singolo si inserisca proficuamente nell’attività generale svolta dalla struttura. Quindi, per evidenti motivi, può darsi benissimo che ciò risulti possibile solo se si rispettano alcune (almeno basilari) routine predeterminate anche in punto di orari, di divisione del lavoro, di rispetto delle decisioni assunte da un soggetto apicale laddove sia necessario e/o opportuno centralizzare alcune scelte e così via.
In secondo luogo, è evidente che anche l’opera richiesta al Medico in Formazione Specialistica sarà finalizzata a garantire il miglior servizio possibile per i pazienti e che tale fine va perseguito sia in quanto oggetto (eventualmente implicito) dell’incarico lavorativo, sia in quanto dovere deontologico. Pertanto, se coordinarsi al meglio con i Colleghi e con le procedure della struttura è essenziale a tale scopo, egli dovrà ragionevolmente impegnarsi in tal senso.
Ad oggi, alla data in cui viene scritto il presente approfondimento, si prevede una durata massima di 6 mesi dell’incarico di lavoro autonomo o parasubordinato (stessa durata tra l’altro prevista da ultimo anche per gli incarichi di lavoro subordinato a tempo determinato, v. art. 3 d.l. 34/20, v. oltre), ma con possibilità di proroga (alla luce dell’eventuale perdurare dello stato di emergenza) sino al 31 dicembre 2020 (art. 2-bis, c. 1, lett. “a”, d.l. 18/20 convertito con l. 27/20).
In realtà la normativa sul punto era inizialmente abbastanza confusionaria, visto che un altro articolo (art. 2-ter, d.l. 18/20 convertito con l. 27/20) menzionava pure un’altra forma di possibili “incarichi individuali a tempo determinato” conferibili (tra gli altri interessati) anche ai Medici in Formazione Specialistica agli ultimi due anni di formazione, tuttavia della durata fissa di un anno e con espresso vincolo di non rinnovabilità. Insomma, visto che non si parlava di “assunzione”, né di “subordinazione”, pareva che si trattasse sempre di un’altra forma (con diversa durata) di conferimento dei suddetti incarichi in forma di rapporto autonomo o parasubordinato. Invece il c.d. Decreto Rilancio ha chiarito (art. 3, d.l. 34/20) che tale seconda ipotesi di incarichi conferibili ai Medici in Formazione Specialistica non riguarda gli incarichi di lavoro autonomo/parasubordinato, bensì le vere e proprie assunzioni con contratto di lavoro subordinato a tempo determinato a seguito di apposite procedure e graduatorie ed inoltre ha previsto (modificando la precedente disciplina) che anche tali assunzioni avranno durata di 6 mesi e saranno prorogabili.
Come sopra riassunto, il lavoratore autonomo o parasubordinato non sarebbe in linea di principio soggetto al potere disciplinare del datore di lavoro al pari di un dipendente.
In altri termini, non sarebbe soggetto, ad esempio, alla sanzione della sospensione o del licenziamento disciplinare per violazione dei propri doveri contrattuali.
D’altro canto, il contratto di lavoro autonomo o parasubordinato è comunque un contratto che, come da disciplina generale, “ha forza di legge tra le parti” (art. 1372 c.c.) e va adempiuto con correttezza, buona fede e con la dovuta diligenza (che in questo caso dovrà essere quella qualificata esigibile da un soggetto dotato di una certa professionalità e non dalla semplice persona qualunque). In caso contrario l’altro contraente può legittimamente lamentare l’altrui inadempimento. In buona sostanza, di fronte all’inadempimento da parte dell’assuntore dell’incarico l’Azienda U.S.L. potrebbe legittimamente domandargli di essere risarcita del relativo danno eventualmente patito (soprattutto in caso di lamentele da parte dei pazienti che vogliano rifarsi sulla Azienda U.S.L) o anche interrompere anzitempo il rapporto (risoluzione del contratto), magari trattenendo in parte il corrispettivo che sarebbe stato normalmente dovuto (come dicevano un tempo, inadimplenti non est adimplendum).
Inoltre, bisogna sempre ricordare che entrano in gioco anche profili di carattere deontologico ed il rischio di dover rispondere dal punto di vista disciplinare nei confronti del proprio Ordine di appartenenza.
Stando a quanto è dato finora capire dalla disciplina emergenziale, le tutele accordate ai Medici in Formazione Specialistica in virtù dei suddetti incarichi saranno quelle proprie delle rispettive tipologie contrattuali, ossia, appunto, del lavoro autonomo o parasubordinato.
Sicuramente, quindi, non vi sarà parificazione per quanto riguarda tutti gli specifici aspetti (maternità, congedi, ferie, diritti sindacali, riposi, eccetera) di trattamento di un lavoratore subordinato e sarà perciò necessario valutare anche caso per caso, alla luce delle specifiche pattuizioni, l’atteggiarsi del rapporto (ad esempio, è verosimile che venga proposta una predeterminazione di “fasce” in cui si potrà essere chiamati, così da garantire adeguati riposi, o anche magari una sorta di interruzione per ferie nel periodo estivo).
Tra le tutele riconosciute comunque in via generale anche ai lavoratori autonomi (per approfondire, v. apposito articolo), di cui occorre valutare la compatibilità in concreto con gli incarichi in esame, ricordiamo in particolare:
– il diritto ad ottenere il contratto per iscritto, con recesso del committente solo dopo “congruo preavviso”, e con pagamento del corrispettivo non oltre 60 giorni, nonché la tutela contro le condotte di c.d. abuso di dipendenza economica (art. 3, l. 81/17);
– la tutela economica contro la disoccupazione c.d. DIS-COLL;
– le misure di (quasi) congedo parentale (con corrispettivo al 30 %) e sospensione del rapporto per malattia, infortunio e gravidanza (di portata ridotta rispetto a quelle proprie del lavoro subordinato, in particolare vista l’assenza di corrispettivo), oltre alla possibilità di farsi sostituire da altro lavoratore autonomo (v. artt. 8, 13 e 14, l. 81/17);
– quel minimo di tutele pensionistiche e di assistenza sanitaria di base riconosciuti a ciascun lavoratore, anche magari alla luce di specifiche misure di welfare messe in campo a livello aziendale, dalle relative gestioni e Ordini professionali.
Nei contratti co.co.co. per i Medici in Formazione Specialistica è prevista invece la copertura INAIL per malattia e infortuni, mentre per quanto riguarda i contributi pensionistici il Medico in Formazione Specialistica li versa a parte presso l’ENPAM (cassa previdenziale dei Medici e Chirurghi e Odontoiatri).
Una previsione espressa di favore contenuta nella normativa oggetto del presente approfondimento è poi quella per cui l’attività prestata durante l’emergenza in questione in forza degli incarichi suddetti di lavoro autonomo/parasubordinato andrà computata ai fini dell’anzianità lavorativa richiesta (dalla precedente c.d. Riforma Madia) per poter concorrere ad eventuali bandi di assunzione riservati a lavoratori flessibili con almeno 3 anni di anzianità (art. 2-bis, c. 2, l. 27/2020 e art. 20, c. 2, d.lgs. 75/17. Si noti che tali bandi riservati sono per ora previsti come possibili fino al 2020 e non si sa se futuri ulteriori interventi normativi prolungheranno tale facoltà per le P.A.).
Vi sarebbe altresì una disposizione che prevede il beneficio della preferenza “nelle procedure concorsuali per l’assunzione presso le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale” e che, stranamente, era stata contemplata solo dall’articolo del d.l. 18/2020 relativo agli incarichi di durata fissa annuale e non rinnovabili (art. 2-ter, c. 3), ma non anche dall’articolo precedente, relativo agli incarichi di durata variabile con tetto massimo di 6 mesi e tuttavia rinnovabili (art. 2-bis), benché dall’originaria formulazione del decreto apparissero potersi entrambi riferire agli incarichi di lavoro autonomo/parasubordinato. Però a seguito del Decreto Rilancio, che ha chiarito come tale seconda disciplina riguardi solo le vere e proprie assunzioni come lavoratore subordinato a tempo determinato, è ora certo che la suddetta “preferenza” nelle procedure concorsuali non riguarda gli assuntori di incarichi di lavoro autonomo/parasubordinato.
La normativa prevede espressamente due disposizioni di notevole importanza per i Medici in Formazione Specialistica (art. 2-bis, c. 1, lett. “a” e art. 2-ter, c. 5, d.l. 18/20 convertito dalla l. 27/2020).
In primo luogo, è previsto che il trattamento economico che costoro già percepiscono in virtù del corso andrà cumulato (senza compensazioni o detrazioni) con gli ulteriori emolumenti derivanti dai suddetti incarichi. In altre parole, i due trattamenti economici si sommano, senza scomputare alcunché dell’uno dall’altro.
In secondo luogo, le ore di attività prestate nelle strutture durante lo stato di emergenza in virtù dei suddetti incarichi (ore che necessariamente finiscono per essere sottratte alla frequentazione dei corsi) non andranno scomputate dal monte di ore richiesto per completare la formazione. Sarà quindi onere delle Scuole determinare le modalità necessarie per recuperare adeguatamente le attività formative, senza che ciò possa tradursi in una posticipazione del giorno di conclusione del ciclo di specializzazione.
E’ estremamente importante liberarsi dell’erronea convinzione, spesso presente in alcuni, che il Medico in Formazione Specialistica non sia direttamente responsabile degli eventuali pregiudizi procurati (eventualmente in concorso con altri) nel corso della sua attività.
Senza che si possa qua approfondire sino in fondo il tema, occorre quantomeno evidenziare che la giurisprudenza riconosce frequentemente la responsabilità civile (risarcimento del danno) e penale in capo al Medico in Formazione Specialistica derivante dal fatto lesivo causalmente imputabile alla sua condotta (talvolta anche omissiva). Infatti, benché sia vero che non si può esigere da un professionista ancora in formazione lo stesso standard di professionalità proprio di un Medico pienamente formato e benché sicuramente debba esservi una figura di riferimento incaricata di vegliare sulle attività dei Medici in Formazione Specialistica, comunque sovente essi sono responsabili della c.d. colpa per assunzione: essersi cimentati in attività (dall’esito lesivo) di cui non erano all’altezza.
Se tutto ciò è vero per un Medico in Formazione Specialistica che “opera” nelle strutture a soli fini formativi, allora a maggior ragione sarà vero per colui che opera anche in forza di un vero e proprio incarico lavorativo tout court.
Si consiglia pertanto di valutare attentamente anche se ed in che modo i Medici in Formazione Specialistica risultino tutelati dalle coperture assicurative delle Aziende U.S.L., prendendo in seria considerazione l’opportunità di integrarle con assicurazioni proprie.
IN COLLABORAZIONE CON:
Dott. Rinaldo Stefano Miceli
Medico Chirurgo, laureatosi presso l’Alma Mater Studiorum, Università di Bologna ed iscritto all’Ordine dei Medici e Chirurghi ed Odontoiatri di Bologna.
Il presente contibuto è stato redatto a quattro mani, dall’Avv. Michele Mancini e dal Dott. Rinaldo Stefano Miceli, Medico laureatosi presso l’Università di Bologna.
Questo nell’ambito di una collaborazione multiprofessionale ed interdisciplinare finalizzata ad una maggiore comprensione, tramite un dialogo aperto, su temi trasversali che richiedono un confronto tra diverse competenze ed esperienze.
Auspicando che possa stimolare una migliore partecipazione al dibattito tra tutti gli interessati agli argomenti proposti, restando aperti ad eventuali suggerimenti e spunti di riflessione.
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