Incostituzionalità Jobs Act: vizio formale del licenziamento.
La sentenza n. 150/20 della Corte Costituzionale dichiara illegittima la disciplina del Jobs Act in tema di indennità dovuta al lavoratore in caso di licenziamento affetto da vizio di forma.
PREMESSA: LA PRECEDENTE PRONUNCIA N. 194/18.
Qualche tempo fa avevo già commentato l’importante pronuncia n. 194/18 in un apposito approfondimento a cui rimando. In estrema sintesi, con essa la Consulta aveva ritenuto incostituzionale per vari motivi il meccanismo di quantificazione dell’indennità dovuta al lavoratore illegittimamente licenziato previsto dal Jobs Act. Non appariva infatti congruo un meccanismo che prevedesse un rigido automatismo nella quantificazione, basandola unicamente sul dato aritmetico dell’anzianità di servizio, senza tener conto di altri fattori.
Ebbene, la sentenza n. 150/20 della Corte Costituzionale rappresenta l’immediata conseguenza e lo sviluppo di quei medesimi ragionamenti, estendendoli anche al caso di licenziamento affetto da “mero” vizio di forma/procedura (cioè, potremmo dire, da una violazione delle regole del “come procedere”) invece che di vera e propria sostanza (cioè dall’assenza dei presupposti di fatto che legittimano l’intimazione di un licenziamento).
QUESTIONI IN CAMPO.
Questa volta a rimettere la questione alla Consulta sono stati due diversi Tribunali, ossia quelli di Bari e di Roma.
Occorre premettere che il Jobs Act aveva previsto per il caso di licenziamento intimato violando le procedure imposte dalla legge o con vizio/mancanza della motivazione (benché eventualmente sussistano i presupposti di fatto) un rimedio meramente indennitario, con indennità calcolata in modo automatico, senza margini discrezionali, sulla base del numero di anni di servizio.
Entrambi i Tribunali richiamano sostanzialmente come motivi della ritenuta incostituzionalità i principali passaggi argomentativi già richiamati nella precedente sent. n. 194/18 della Corte Costituzionale, segnalando che anche un vizio di forma/procedura può essere assai grave e rilevante in concreto.
Tra l’altro, viene fatto notare che, mentre la riforma del 2018 (d.l. 87/18 convertito in legge con l. 96/18) aveva aumentato le indennità previste per il caso del licenziamento affetto da vizi sostanziali, un analogo aumento proporzionale non è stato affatto previsto per le indennità dovute in caso di vizio formale/procedurale. Pure in ciò si ravvisa un motivo di censura per ritenuta irragionevole disparità di trattamento.
DECISIONE DELLA CONSULTA.
La Corte Costituzionale, come era abbastanza prevedibile (anche se non scontato) viste le premesse, ha dichiarato fondate le questioni di legittimità costituzionale proposte.
Viene infatti accertata l’incompatibilità con gli “artt. 3, 4, primo comma, e 35, primo comma, Cost.” (principio di eguaglianza-ragionevolezza; effettività del diritto al lavoro; tutela del lavoro in ogni forma ed applicazione).
– Quando la forma è sostanza –
Risulta molto importante, a mio avviso, un passaggio in cui sembra essere enunciato il principio (spesso invocato nelle argomentazioni giuridiche volte a valorizzare l’importanza del rispetto delle procedure) che talvolta anche la forma è sostanza. In altri termini, alcune regole procedurali/formali sono tutt’altro che meri orpelli o inutili amenicoli burocratici, ma diventano il presidio di fondamentali regole sostanziali. La Consulta infatti scrive: “Le prescrizioni formali, la cui violazione la disposizione censurata ha inteso sanzionare con la tutela indennitaria, rivestono una essenziale funzione di garanzia, ispirata a valori di civiltà giuridica. Nell’àmbito della disciplina dei licenziamenti, il rispetto della forma e delle procedure assume un rilievo ancora più pregnante, poiché segna le tappe di un lungo cammino nella progressiva attuazione dei princìpi costituzionali“.
In particolare, viene rammentato come tali regole formali/procedurali siano fondamentali per attuare davvero il diritto del lavoratore di conoscere in maniera certa e chiara una volta per tutte i motivi per cui lo si vuole licenziare e poter partecipare proficuamente al contraddittorio previsto (nel caso del licenziamento disciplinare) con il datore di lavoro prima che questo licenziamento diventi effettivo. Insomma, benché siano norme di forma esse di fatto realizzano la sostanza di prevenire arbitri illegittimi da parte del datore di lavoro.
– No ad automatismi nel calcolo –
Detto ciò, come già ritenuto nella precedente sentenza n. 194/18, di nuovo la Corte Costituzionale ritiene inammissibili automatismi secchi nel meccanismo di calcolo dell’indennità. Infatti, in tal modo non si tiene conto delle specificità del caso concreto (ad esempio: un lavoratore assunto da poco potrebbe però esser stato vittima di una violazione molto grave).
A ciò si sarebbe potuta muovere un’obiezione: i vizi formali/procedurali sono per propria natura meno gravi rispetto al vizio sostanziale costituito dalla vera e propria assenza dei motivi per intimare un valido licenziamento. Pertanto, anche a voler ritenere illegittimo l’automatismo indennitario nel caso di vizio sostanziale, lo si sarebbe comunque potuto lasciare in vita per il diverso caso di “mero” vizio procedurale.
Tuttavia, la Corte Costituzionale è di altro avviso. Infatti, oltre ad aver già (v. sopra) valorizzato fortemente l’importanza delle regole di forma e procedura, la Consulta così argomenta sul punto: “Un sistema che, solo per i vizi formali, lasci inalterato un criterio di determinazione dell’indennità imperniato sulla sola anzianità di servizio non potrebbe che accentuare le sperequazioni e la frammentarietà di una disciplina dei licenziamenti, già attraversata da molteplici distinzioni”. Ancora: “Nel disegno complessivo prospettato dal legislatore un criterio ancorato in via esclusiva all’anzianità di servizio non fa che accentuare la marginalità dei vizi formali e procedurali e ne svaluta ancor più la funzione di garanzia di fondamentali valori di civiltà giuridica, orientati alla tutela della dignità della persona del lavoratore”.
– Conclusioni –
Di nuovo viene lasciato al Giudice del singolo caso concreto un ampio margine di discrezionalità nel determinare il quantum dell’indennità, poiché lo si invita a reperire autonomamente i criteri da tenere in considerazione nell’Ordinamento giuslavoristico, suggerendone espressamente solo alcuni.
Scrive infatti la Consulta: “Nel rispetto dei limiti minimo e massimo oggi fissati dal legislatore, il giudice, nella determinazione dell’indennità, terrà conto innanzitutto dell’anzianità di servizio, che rappresenta la base di partenza della valutazione. In chiave correttiva, con apprezzamento congruamente motivato, il giudice potrà ponderare anche altri criteri desumibili dal sistema, che concorrano a rendere la determinazione dell’indennità aderente alle particolarità del caso concreto. Ben potranno venire in rilievo, a tale riguardo, la gravità delle violazioni … e anche il numero degli occupati, le dimensioni dell’impresa, il comportamento e le condizioni delle parti”.
In chiusura, del tutto opportunamente, si invita poi il Legislatore a voler metter lui stesso mano alla disciplina per ripristinare la dovuta coerenza, senza cioè onerare il potere Giudiziario (e la Consulta stessa) del compito di trasformarsi in creatore di norme. Pare inoltre esservi un’implicita critica alla tecnica normativa frammentaria finora utilizzata e forse al mancato ascolto di moniti passati.
La Corte scrive infatti in conclusione: “Spetta alla responsabilità del legislatore, anche alla luce delle indicazioni enunciate in più occasioni da questa Corte, ricomporre secondo linee coerenti una normativa di importanza essenziale, che vede concorrere discipline eterogenee, frutto dell’avvicendarsi di interventi frammentari“.
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