BLOCKCHAIN, SMART CONTRACT E DIRITTO.
Come le tecnologie della blockchain e degli smart contract si inseriscono nel diritto esistente e ne stimolano l’innovazione.
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La blockchain è una tecnologia che sta innovando non solo il mondo dell’informatica, ma anche -a cascata- vari settori delle realtà sociali, economiche e produttivo/professionali. Nel farlo si inserisce in un contesto di sempre maggiore automazione delle operazioni, già in atto da tempo.
Da tale spinta al cambiamento non poteva rimanere immune il diritto, chiamato a disciplinare tali realtà e quindi (quando tutto va come dovrebbe) a recepirne e capirne le mutate esigenze. Ecco qualche spunto in merito.
LA BLOCKCHAIN: DI COSA SI TRATTA?
Chi scrive fa l’avvocato, non l’informatico. Però, per chiarezza, mi permetto qualche piccolo cenno in merito ad in cosa consiste la tecnologia della blockchain, almeno dal punto di vista puramente concettuale.
– Pubblicità ed assenza di intermediari-
In estrema sintesi, la blockchain è un sistema che si basa sulla validazione condivisa e reciproca degli scambi di dati. Cioè le “transazioni” non vengono controllate e gestite da un intermediario in posizione accentrata. Bensì vengono validate in maniera decentralizzata, sfruttando la capacità di calcolo dell’hardware di ciascun utente (nodo) che partecipa alla piattaforma.
Il tutto mediante utilizzo di un database pubblico e che registra, rendendole indelebili, tutte le operazioni effettuate, passaggio dopo passaggio. Inoltre una delle caratteristiche (ma anche un potenziale limite, come si dirà oltre) è che grazie a tale controllo diffuso un determinato elemento può essere trasferito solo senza corruzioni, esattamente così com’è, e solo facendolo venir meno dalla “disponibilità” del precedente titolare mentre lo si trasmette al successivo.
– Un esempio teorico: l’asta segreta –
Per chiarire il concetto facendo un esempio pratico pensiamo a come si potrebbe ipoteticamente congegnare un’asta con offerte segrete.
Sarebbe un sistema a controllo centralizzato quello in cui ogni partecipante inserisse la propria offerta in una busta chiusa e poi il “banditore” (in realtà bandendo ben poco) in separata sede le aprisse e le registrasse personalmente in una tabella contenente i risultati in ordine di importo offerto, pubblicandola solo una volta completata. In questo sistema l’autorità del risultato deriverebbe dall’autorità della singola persona che lo certifica. Quindi, anche se non ci si fidasse dell’altro utente-offerente, ci si fiderebbe del controllore “terzo” alla cui autorevole parola ciascuno si sarebbe parimento rimesso.
Sarebbe invece un sistema a controllo decentralizzato il seguente meccanimo ipotetico. In esso ogni partecipante farebbe la propria offerta ad alta voce, ma in codice. Prima però ciascuno avrebbe inserito la chiave personale necessaria per decifrare l’offerta in codice in una scatola chiusa, da aprirsi tutti assieme solo a fine asta. Inoltre durante l’asta ciascuno annoterebbe su un proprio personale registro le offerte in codice di ciascun altro. Poi solo una volta terminate le offerte, alla presenza e sotto gli occhi di tutti, avverebbe il congiungimento di offerte in codice e chiavi, per scoprire chi aveva offerto di più. Dovrebbero poi esistere sanzioni per evitare condotte fraudolente. Ad esempio: chi non ha segnato sul proprio registro un’offerta annotata da un minimo di altri partecipanti incorre in una sanzione altamente dissuasiva; idem se l’ha segnata diversamente da un certo numero di altri partecipanti. In quest’ipotesi si prescinderebbe dalla necessità di autorità terze, perché si confiderebbe che sia nell’interesse di ciascuno vigilare sul corretto andamento della procedura.
– Consenso condiviso quale strumento di validazione –
Quindi, per concludere, nella blockchain un’operazione viene considerata effettuata dalla piattaforma solo se ha trovato il “consenso” (registrato indelebilmente) di un sufficiente numero di nodi.
L’IMPATTO SU ALCUNI ISTITUTI GIURIDICI.
– L’apparente assoluta “certezza” –
L’impatto più forte della blockchain sul mondo del diritto pare oggi legato al concetto di “certezza”. Infatti tale la tecnologia si propone come capace di assicurare incontrovertibilmente ed in maniera pubblicamente verificata se una data cosa è avvenuta oppure no.
Oggi il diritto assume come “certi” i fatti che abbiano passato un determinato vaglio, considerato particolarmente attendibile. Ad esempio, a vari fini la legge può richiedere che un atto o un contratto abbiano “data certa”; ebbene, un modo ritenuto idoneo per assolvere tale onere è quello di registrarlo presso l’Agenzia delle Entrate.
Ma ove l’informatica ci mette a disposizione strumenti ancora più efficenti (e magari economici) diffusamente ritenuti capaci di attestare la “certezza” di qualcosa, si può pensare di ottenere gli stessi effetti giuridici rinunciando ai vecchi sistemi?
– Chi ha bisogno del Notaio? –
Comprensibilmente la categoria più attiva nel dibattito giuridico sulla blockchain è quella dei Notai: se davvero la “certezza” di identità, stati, date, contenuti e così via si attestasse da sè allora il Notaio sembrerebbe privato di gran parte delle sue funzioni (e della sua utilità).
A difesa del proprio ruolo, quale comunque necessario e nell’interesse pubblico, ed in generale per smorzare un po’ entusiasmi che potrebbero essere dannosi, i Notai portano vari argomenti.
1) Si afferma che nella “giungla” del web, caratterizzata da (solo) apparente semplicità, ma in realtà da grandi asimmetrie informative e rischi di frodi, lasciare nelle mani del Notaio il compito di dare certezza ai rapporti potrebbe prevenire i costi ben maggiori necessari per riparare ai danni. Infatti la dematerializzazione e spersonalizzazione della contrattazione hanno aumentato enormemente il numero delle truffe.
2) Si afferma che lasciare ai privati certe attività capaci di danneggiare la società nel complesso (ad es.: la circolazione della proprietà degli immobili) senza qualche controllo di un pubblico ufficiale esporrebbe persone incolpevoli a rischi ingiustificati.
3) Si fa notare che un sistema di controllo così decentralizzato potrebbe tradursi in una realtà di deresponsabilizzazione generalizzata: quando qualcosa va male la parte debole subisce il danno ma non sa con chi prendersela. Inoltre, potrebbe diventare strumento troppo comodo per attività illecite, quale il riciclaggio del denaro sporco. Tra l’altro, posto che chi controlla i mezzi controlla i fini, potrebbe non essere così realistica l’apparente grande democraticità del sistema (ad es., chi controllasse il 51% dei nodi potrebbe falsare i risultati, ma l’acquisto più o meno esplicito di così tanti nodi sarebbe possibile solo da parte di soggetti già molto “forti”, a potenziale detrimento di quelli “deboli”).
4) Si nota che la blockchain non può soddisfare certe esigenze dell’Ordinamento. Ad esempio, il creditore non soddisfatto deve ovviamente poter pignorare i beni del debitore, ma nella blockchain solo il titolare di quel bene può validarmente compiere operazioni sullo stesso; quindi come si potrebbe mai riuscire a conciliare il codice di procedura civile e questo limite tecnico-informatico? Oppure, nelle vicende quotidiane può accadere che un immobile debba essere demolito e ricostruito diversamente o frazionato, ma se ciò avviene nella realtà poi la blockchain deputata a gestire il pubblico registro immobiliare (dove quell’immobile è descritto da una rappresentazione informatica “incorruttibile”) come potrebbe tenerne conto, vista la propria “rigidità”?
5) Si afferma infine, soprattutto, che garantire la certezza del dato conservato non equivale a garantire la qualità del contenuto intellettuale. Cioè la blockchain non può assicurare quel consiglio qualificato che può dare al non giurista il Notaio in sede di attestazione della pubblica fede.
– Notarchain: la blockchain dei Notai –
Che la reazione del Notariato al problema sia decisamente attiva è poi dimostrato anche dal fatto che non si è limitato a “vedere la posta”, ma ha deciso di rilanciare. Infatti, la categoria ha annunciato la creazione della propria blockchain, chiamata “Notarchain”, a dimostrazione di come la nuova tecnologia non escluda il ruolo del professionista.
Il fine vorrebbe essere quello di sfruttare le potenzialità della tecnologia (ad es., per essere sicuri che lo stesso dato venga rappresentato in maniera davvero identica su due terminali diversi), colmandone e prevenendone i difetti col fattore umano, ossia con l’intervento del Notaio stesso.
GLI SMART CONTRACT.
– Contratti automatizzati e smart contract –
L’innovazione tecnologica ha costantemente rivoluzionato la materia dei contratti. Si pensi ad esempio a quando il diritto si è dovuto porre il problema di come inquadrare nelle proprie norme di derivazione romanistica un contratto (cioè un’attività intesa come tale nella volontà dei contraenti) concluso tra luoghi diversi e lontani chilometri, tramite telefono, fax, browser web, eccetera. Ciò ha comportato innovazioni dal punto di vista formale (ad es.: si è ritenuto opportuno stabilire che la PEC abbia valore di raccomandata con avviso di ricevimento, per favorire la certezza delle comunicazioni via web), ma anche sostanziale, visto il mutamento delle dinamiche concrete (ad es: sono state introdotte le specifiche tutele previste dal Codice del Consumo per i contratti conclusi a distanza, poiché più suscettibili di indurre il consumatore a trovarsi vincolato diversamente da come avrebbe realmente voluto).
Uno dei più recenti campi di interesse è quello degli smart contract, che si sta intersecando con la tecnologia della blockchain. Si tratta sostanzialmente di quei casi in cui un algoritmo “conclude” serialmente contratti, senza bisogno dell’intervento di un essere umano, al verificarsi di determinati presupposti. Il sistema è utilizzatissimo (e già da parecchio tempo) per le transazioni finanziarie, posto che si può, ad esempio, programmare affinché venda o compri partecipazioni azionarie o altri strumenti finanziari al raggiungimento di un determinato prezzo o al verificarsi di altri determinati eventi.
Riconducibili al novero degli smart contract sono anche alcuni sistemi che consentono le transazioni in criptovalute (ad es. Bitcoin), basate sulla blockchain. Ancora, un interessante esempio di sinergia tra blockchain e smart contract che qualcuno ha ipotizzato è il seguente. Si pensi ad un registro della proprietà dei veicoli e dei pagamenti, gestito con blockchain, connesso ad uno smart contract recante il comando che se non sarà pagato in tempo il prezzo della compravendita allora verrà registrato nuovamente ed in automatico come proprietario il venditore del mezzo. L’ipotesi è suggestiva, posto che oggi il venditore non pagato che volesse tornare intestatario dell’auto già registrata a nome del compratore dovrebbe intentare una causa, attendere la sentenza e poi farla trascrivere agli uffici del P.R.A..
– Vecchie norme, ma problemi nuovi –
Al non giurista sembreranno banalità, ma di fronte a tali cambiamenti il teorico del diritto si mette le mani nei capelli: molti istituti tradizionali del Codice Civile devono quasi reinventarsi o, comunque, adattarsi a forza a situazioni nuove per non lasciare delle lacune normative. Mi limito a fare qualche esempio.
1) La c.d. responsabilità contrattuale (cioè, diciamo, da inadempimento di una o più clausole del contratto) viene normalmente invocata dal contraente-creditore nei confronti del contraente-debitore. Ciò è ovvio: quando Tizio contratta con Caio e i due si accordano, ma poi Tizio non adempie, allora è normale che Caio se la prenda con lui.
Però nell’ambito di uno smart contract, che fa tutto improvvisamente e da sè, perché segue pedissequamente un complesso algoritmo impostato anche molto tempo prima (magari causando danni gravissimi, che non erano stati minimamente previsti, in pochi secondi), chi chiamiamo a risponderne?
Formalmente contraente è sempre una qualche persona fisica o giuridica (ad es. un fondo di investimento), ma di fatto quelle magari centinaia di negoziazioni sono state eseguite totalmente in automatico da un software che ha interagito con i software analoghi di altri potenziali contraenti in giro per il mondo. Il tutto, eventualmente, contro quella che sarebbe stata la reale volontà del contraente formale se avesse potuto intervenire in quel momento. Ad es.: giorni prima era stato impostato il comando di vendere le azioni “X” se il prezzo calava al di sotto della soglia “Y” perché ciò sembrava sensato; oggi il software esegue il comando in pochi secondi per un gran numero di negoziazioni, ma senza minimamente considerare qualche fattore esterno per cui quell’operazione non ha più alcun senso ed anzi, magari, causa (in sinergia con analoghi software altrui) un gravissimo danno per il patrimonio del contraente e di altri terzi pregiudicati da un’anomala fluttuazione.
Non stupisce affatto, allora, che una Risoluzione del Parlamento Europeo del 16.02.17 abbia ritenuto che “le carenze dell’attuale quadro normativo“ (dovute al fatto che oggi “le macchine [sono] progettate per scegliere le loro controparti, negoziare termini contrattuali, concludere contratti e decidere se o cioè attuarli“) vadano considerate tante e tali da rendere “inapplicabili le norme tradizionali”. Insomma, l’organo di rappresentanza dei cittadini dell’U.E. ha sostanzialmente affermato che i Paesi dell’Unione dovranno creare norme nuove, perché quelle attuali non bastano affatto.
2) Ancora, normalmente l’errore dell’essere umano trova dei rimedi nella disciplina del Codice Civile. Ad esempio, quello che sia “essenziale” e “riconoscibile” da parte dell’altro contraente consente di far annullare quel contratto che, in assenza di errore, non si sarebbe concluso.
Ma laddove un’intera complessa procedura di “trattative” sia altamente automatizzata o comunque gestita da un codice assai complesso e noto solo al suo programmatore (non certo all’utente medio che se ne serve), come ci si comporta?
Tornando all’esempio di prima: per l’acquirente Tizio era “riconoscibile” l’errore del fondo d’investimento Caio che con il software preimpostato ha in automatico continuato a vendere le partecipazioni azionarie “X”, contribuendo a generare una fluttuazione del mercato magari andata anche a proprio danno? Si può poi considerare viziata da errore ciascuna negoziazione basata su quel comando o solo quelle da un certo momento in poi (ad esempio, se il danno si manifesta chiaramente solo dopo un certo numero di negoziazioni)? Oppure, se l’errore, più che propriamente della persona, fosse legato ad un malfunzionamento dell’algoritmo, allora che si dovrebbe fare?
3) Come si qualificano poi i contratti dal punto di vista dogmatico? Non si tratta di una domanda fine a sé stessa, perché se è diverso il “tipo” saranno diverse le regole applicabili.
Ad esempio, la tipica “macchinetta” distributore automatico di merendine o bibite pare secondo molti interpreti concludere contratti secondo lo schema dell’offerta al pubblico di cui all’art. 1336 c.c.. Però tale schema ha per legge determinate conseguenze: ad esempio, diversamente dalla normale proposta contrattuale rivolta a persona determinata, l’offerta al pubblico è revocabile anche se la revoca non viene portata a diretta conoscenza di chi l’aveva “ricevuta”. Però, così, si nota già nell’esempio in piccolo del distributore automatico un notevole attrito. Cioè, che senso ha pensare all’istituto della “revoca” laddove appena si mette la moneta il prodotto scende e se invece la macchinetta non vuole “contrarre” semplicemente le si fa segnalare il suo essere “fuori servizio”?
Tali problemi diventano poi ancora più evidenti negli smart contract più evoluti. In un contratto informatico assai complesso, concluso serialmente assieme ad altre decine o centinaia di operazioni in poco tempo, dove la mancanza di scambi scritti/verbali o anche solo dell’effettiva pressione di un tasto volta per volta rende difficile ritenere davvero sussistenti una “proposta” ed una “accettazione” richieste dalla norma, che senso ha ricondurre la fattispecie all’art. 1336 c.c.? Come si fa poi a ritenere applicabile la disciplina della “revoca” della proposta (prima dell’accettazione altrui) se il tutto avviene nell’arco di pochi secondi?
– Come reagiscono gli operatori –
Oggi gli operatori dei settori interessati stanno reagendo a questa mancanza di risposte certe da parte dell’Ordinamento con una mancanza di fiducia nella sua (attuale) capacità di regolare i rapporti suddetti. Cioè la tendenza è quella di regolare tra privati tutte le possibili future ipotesi che si riescono a prevedere al momento della stipula dell’accordo con dettagliati e corposi testi contrattuali.
Ciò avviene, tra l’altro, con la tendenza a ragionare in questo modo: se si è verificato il presupposto, e quindi il software ha agito di conseguenza, allora il software ha ragione. Ossia non si rimette in discussione l’operazione conclusa, ma al più si agisce in rivalsa contro chi si ritiene responsabile del pregiudizio causato dall’automatismo. Infatti, l’esigenza prevalente è (come spesso accade nel commercio) quella di certezza.
Per i giuristi qui si apre un mondo: si pone con estrema forza il problema del c.d. equilibrio contrattuale e dei limiti entro i quali un domani il Giudice potrà sindacare le scelte originarie dei contraenti, perché magari di fatto rivelatesi ex post particolarmente inique per qualcuno anche se originariamente sottoscritte da entrambi. Per non parlare, poi, del fatto che il giurista sembra dover diventare sempre più un po’ un informatico, per capire come gestire ed inquadrare queste nuove fattispecie concrete.
– Responsabilità dei robot –
Per tutti questi motivi vi è chi, non solo sul piano filosofico, ma proprio sul piano giuridico, sta iniziando a ragionare in termini di una potenziale “responsabilità del robot”, avanzando proposte per disciplinarla dal punto di vista legale (in tal senso, la suddetta Risoluzione del Parlamento Europeo).
Si tratta di un campo di estremo interesse non solo giuridico, ma anche economico e sociale. Infatti si tratta di stabilire, soprattutto, come si ripartirà il rischio di attività ormai sempre più diffuse tra i diversi soggetti in qualche modo interessati. Ad esempio, di cosa risponderà il proprietario/avente diritto sulla macchina-hardware? Ed il proprietario/gestore del software? Ove invece interagiscano più software/macchine riconducibili a soggetti diversi? Di che danno potranno poi essere chiamati a rispondere i suddetti responsabili ove dagli automatismi e dalle sinergie derivino pregiudizi obiettivamente imprevedibili ex ante? Eccetera.
Insomma, in definitiva non ci resta che aspettare, con curiosità e senza preconcetti, ma anche senza eccessivi entusiasmi e pretese rivoluzionarie, cosa ci riserverà il futuro.
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Segnalo che i concetti discussi in questo articolo sono stati oggetto di uno specifico intervento normativo da parte del Decreto Semplificazioni, perciò rimando per approfondimenti al relativo intervento su questo blog.
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